I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono molto difficili da affrontare, sia per coloro che ne soffrono sia per le persone a loro vicine, che spesso si ritrovano nella situazione di non sapere cosa fare. Daniela gestisce il blog Gocce di Colore, nel quale si occupa di sensibilizzare il pubblico nei confronti di questi disturbi e, contemporaneamente, trasmette messaggi di incoraggiamento e di speranza. In questo articolo parlerà di alcuni comportamenti da adottare per sostenere chi soffre di DCA.
Quando qualcuno a cui vuoi bene sta male è normale sentire il desiderio di potergli in qualche modo essere di aiuto e di conforto.
Ci sono però delle situazioni in cui questo è difficile, in cui non sai cosa fare o come comportarti, questo perché la persona a cui vuoi bene e che vorresti in qualche modo sostenere appare distante, lontana, quasi come se il tuo aiuto non lo volesse.
Oggi parliamo proprio di questo, di quello che succede quando un figlio o una figlia si ammala di un disturbo dell'alimentazione come l'anoressia, la bulimia o il binge eating e un genitore, una mamma o un papà, si trova a non sapere come affrontare quello che sta accadendo, qualcosa che si sente essere davvero troppo grande, troppo complicato, troppo doloroso.
I DCA: due diversi punti di vista
Per prima cosa è importante cercare di capire quello che succede quando una persona si ammala di un disturbo dell'alimentazione, malattie molto dolorose e, purtroppo, molto diffuse.
Parliamo infatti di patologie che travolgono chi ne soffre non solo sotto il punto di vista fisico. L'intera persona ne è colpita, sia i suoi pensieri, che poco alla volta vengono sopraffatti dalla malattia, sia le sue emozioni, su cui la malattia gioca, facendo leva sui sensi di colpa e sulle paure più profonde.
Meccanismi forti che però si fa fatica a riconoscere, quelli della patologia, che si presentano inizialmente come qualcosa che non spaventa, tutt'altro, si presentano infatti come qualcosa di positivo, come la sensazione di poter avere tutto sotto controllo, di potercela fare, di essere in grado di ...
C'è dunque una grande differenza tra quello che prova chi si ammala e quello che prova un genitore. E' un po' come trovarsi su due strade parallele, che, anche se vicine, non si incontrano.
Da una parte c'è chi vive la malattia, ai cui occhi gli altri, che cercano di fargli capire che sta male e ha bisogno di aiuto, appaiono come persone che non capiscono, che non sanno, che non vogliono ascoltare.
Dall'altra ci sono mamme e papà che vedono la persona per loro più importante stare sempre peggio, rifiutando l'aiuto necessario per star meglio e per provare a guarire.
E' naturale che in tutto questo ci siano scontri, discussioni e sbalzi di umore. Allo stesso modo è naturale che sorgano tutta una serie di altri sentimenti dolorosi tra cui la paura, il senso di impotenza, i sensi di colpa e la frustrazione.
E allora ci si chiede cosa si può fare, cosa sia meglio dire o non dire, come comportarsi.
Dare una risposta a queste domande è difficile, questo perché ogni situazione è diversa, perché ogni famiglia ha le sue dinamiche e perché non ci sono regole comuni che vadano bene per tutti.
Cosa possiamo fare?
Ci sono però alcuni accorgimenti che si possono seguire, come ci sono alcune attenzioni che possono aiutare.
Prima di tutto è importante comprendere e accettare che i disturbi dell'alimentazione sono vere e proprie malattie e come tali vanno trattati e curati.
Soffrire di anoressia non significa non voler mangiare, soffrire di bulimia o di binge eating non significa non sapersi controllare. Significa, invece, che la forza della malattia è tale da diventare protagonista della vita di chi ne soffre, che si ritrova ad essere prigioniero in un mondo di grande sofferenza.
Tutto ciò non vuol dire che non si possa guarire.
GUARIRE SI PUO'.
Per questo è importante chiedere aiuto alle persone giuste, ai professionisti preparati per affrontare e curare queste malattie.
Tanti sono i Centri specializzati dove operano équipe multidisciplinari che si fanno carico della persona a 360 gradi, dedicando la giusta attenzione ai diversi aspetti del rapporto tra la persona e la patologia, perché come dicevamo prima queste malattie entrano nella vita delle persone con implicazioni che abbracciano varie dimensioni: quella fisica e quella mentale, quella sentimentale ed emozionale.
La decisione di chiedere aiuto e rivolgersi ad un medico è una decisione ardua ed essa stessa molto dolorosa. Questo proprio per il grande potere della malattia e per la lontananza dei due mondi che vengono a scontrarsi: quello patologico e quello reale.
Quando una famiglia si trova a doversi confrontare con questo "mondo" tante sono le cose che accadono, tanti sono i sentimenti vissuti, tante sono le prove da dover affrontare.
Parlare con la propria figlia o il proprio figlio di quello che sta accadendo è difficile, perché difficile, per chi si imbatte in un disturbo dell'alimentazione, è percepire e riconoscere quest'ultimo come tale.
Le tensioni in famiglia aumentano così come la sensazione di "non essere capiti" e, dall'altra parte, la sensazione di "non essere in grado di aiutare la propria figlia o il proprio figlio".
La convinzione di essere impotenti si accompagna alla costante paura di perdere la persona cara.
Diventa quindi molto importante chiedere aiuto anche per se stessi, come genitori, come persone che hanno anch'esse bisogno di essere ascoltate, sostenute e accompagnate in questo delicato periodo della propria vita.
Alcuni piccoli consigli
Ci sono poi delle piccole cose, che sono in realtà grandi cose, che una mamma e un papà possono fare per essere di aiuto.
Il saper ascoltare l'altro, la propria figlia o il proprio figlio, per far capire che "ci sono", "sono qui, per te, quando vuoi sai che su di me puoi contare". Anche se l'esserci per un figlio potrebbe sembrare scontato, sentirselo dire può essere fondamentale, soprattutto quando si sta male e tutto diventa cupo ed apparentemente impossibile da affrontare.
È importante esprimere la propria preoccupazione, ma senza far sentire in colpa l'altro, perché ammalarsi non è una colpa e perché nessuno vorrebbe tutto questo.
A tavola cercare di spostare la conversazione dall'argomento cibo, portando l'attenzione sugli altri aspetti della vita: sia perché parlare di cibo può diventare controproducente, essendo fonte di ansia e turbamento, sia per far capire alla propria figlia o al proprio figlio che essi sono molto più che la malattia di cui soffrono.
Può essere utile anche cercare un modo per sfogarsi, per condividere quello che si sta vivendo.
A volte la voglia di urlare al mondo la propria sofferenza è grande, ma si ha paura di non essere capiti e di essere invece giudicati o colpevolizzati. Questo è comprensibile. Ci sono, però, delle occasioni per poterlo fare con maggiore serenità, rivolgendosi ad esempio alle numerose associazioni dove operano persone che hanno vissuto esperienze simili, con cui è possibile confrontarsi in un'ottica di sostegno e condivisione.
Il percorso di guarigione da un disturbo dell'alimentazione è un percorso delicato, un percorso che spaventa e che può essere molto complicato. Questo percorso però esiste ed è una strada da intraprendere con l'aiuto delle persone preparate per farlo. E su questo percorso, su questa strada, anche i genitori giocano un ruolo molto importante, un ruolo che si affianca a quello dei medici: il ruolo del sostegno, della comprensione, dell'ascolto e dell'accompagnamento.
Se l'articolo vi é piaciuto date un'occhiata anche a: